L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 437/2022 – a rettifica della risposta pubblicata n. 433 del 24 agosto 2022 – si è espressa in tema di tassazione dei redditi ottenuti dai possessori delle criptovalute che consentono lo staking, affermando che alla remunerazione derivante da tale attività, ovvero al compenso in criptovalute corrisposto a fronte del “vincolo di disponibilità” delle stesse, debba considerarsi applicabile l’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir. Conseguentemente, tenuto conto che l’istante è una persona fisica residente in Italia, tale remunerazione dovrà essere assoggettata a ritenuta a titolo d’acconto da parte della società e indicata dal contribuente nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi.
Lo staking è un metodo usato per verificare e mantenere sicure le transazioni sulle blockchain proof of stake, che premia coloro che partecipano al processo. In tal modo si raggiunge il consenso distribuito sulla generazione di un nuovo blocco. Per diventare validatori e quindi per generare i premi, un nodo deve depositare un certo numero di token sulla rete come stake (simile a deposito cauzionale); la possibilità che tale nodo venga scelto per convalidare il blocco successivo generalmente è proporzionale al numero di token oggetto dello staking.
L’istante, con istanza di interpello, ha chiesto all’Agenzia chiarimenti in merito al corretto trattamento fiscale dei redditi derivanti da tali operazioni.
Nello specifico, l’istante ha rappresentato di aver aperto un conto online (wallet) per la gestione di criptovalute presso una piattaforma gestita da una società italiana, precisando che la stessa offre servizi di compravendita/gestione (exchange) e servizi di staking su criptovalute, e che intende partecipare alla produzione e alla validazione di nuovi blocchi proposti da altri validatori, utilizzando le proprie criptovalute come stake (staking). Per far ciò, la piattaforma pone sulle stesse un “vincolo di indisponibilità” per il tempo necessario alla produzione e alla convalida dei blocchi della relativa blockchain. Nelle more del periodo in cui è applicato il “vincolo di indisponibilità”, le criptovalute rimangono depositate nel wallet e la produzione/convalida di nuovi blocchi comporta una remunerazione (premio) in criptovalute, che viene determinata dalla stessa blockchain. Tale premio o corrispettivo è decurtato di una percentuale che la piattaforma trattiene per le attività di validazione e per la messa a disposizione di tutta l’infrastruttura informatica necessaria per effettuare lo staking e per semplificare l’interazione con la blockchain.
Occorre domandarsi se – come prospettato dall’istante – alle operazioni di conversione di criptovaluta sia corretto applicare i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto le valute tradizionali e, pertanto, alle cessioni a pronti di criptovalute ritiene applicabile il combinato disposto dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter) e comma 1-ter del Tuir (Testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Conseguentemente, l’Istante chiede se risulti conforme alla normativa indicare nel quadro RT del Modello Redditi Persone Fisiche le plusvalenze realizzate attraverso la cessione a titolo oneroso delle criptovalute e applicare l’imposta sostitutiva nella misura del 26%.
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 437/2022, a rettifica della risposta n. 433/2022, in primo luogo ha richiamato in applicazione la risoluzione 2 settembre 2016, n. 72/E e la risposta n. 788 del 24 novembre 2021 rispetto al trattamento fiscale applicabile ai redditi derivanti dalla detenzione di criptovalute in capo a persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di arte, professione o impresa.
Con riferimento alla remunerazione derivante dall’attività di staking, ha chiarito che debba applicarsi quanto previsto dall’articolo 44, comma 1, lettera h), del Tuir. Difatti, sono inquadrabili tra i redditi di capitale sulla base di tale fattispecie impositiva non soltanto i redditi che siano determinati o predeterminabili, ma anche quelli variabili in quanto la relativa misura non sia collegata a parametri prefissati.
Riportandosi alla circolare 24 giugno 1998, n. 165/E, l’Agenzia sottolinea che per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito. Perciò possono essere attratti ad imposizione sulla base di tale disposizione sia quei proventi che sono giuridicamente qualificabili come frutti civili ai sensi dell’articolo 820 c.c. (cioè quei proventi che si conseguono come corrispettivo del godimento che altri abbia di un capitale), sia quei proventi che trovano fonte in un rapporto che presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
Ne discende che il compenso (premio) in criptovaluta percepito dalla persona fisica, al di fuori dell’attività d’impresa, come remunerazione per l’attività di staking sia soggetto ad imposizione ai sensi della lettera h) del comma 1 dell’articolo 44 del Tuir. Se tale remunerazione è accreditata nel wallet da una società italiana, come accade nel caso in esame, quest’ultima è tenuta all’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 26% ai sensi dell’articolo 26, comma 5, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Pertanto, nel caso di specie, tenuto conto che l’istante è una persona fisica residente in Italia, tale remunerazione dovrà essere assoggettata a ritenuta a titolo d’acconto da parte della società e indicata dal contribuente nella Sezione I-A “Redditi di capitale” del Quadro RL del Modello Redditi.
Con riferimento agli obblighi di monitoraggio fiscale, tenuto conto che il contribuente detiene il wallet presso una società italiana, egli non è tenuto a tali obblighi, né tanto meno al pagamento dell’IVAFE.