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ANTICORRUZIONE NELLA PA: MANCANO PERSONALE FORMATO, COMPETENZE, PROCESSI E SOFTWARE ADEGUATI.

ANTICORRUZIONE NELLA PA: MANCANO PERSONALE FORMATO, COMPETENZE, PROCESSI E SOFTWARE ADEGUATI.

L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha di recente reso noti i risultati dell’“Analisi di esperienze e criticità rilevate dai Responsabili per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza” (gennaio 2023), realizzata analizzando un campione di 129 Amministrazioni medio grandi (Università, Comuni e Città metropolitane, Camere di Commercio, Ministeri ed altri enti) e di 293 piccoli enti (piccoli Comuni, società pubbliche, soggetti appartenenti ad altre tipologie di enti come enti pubblici, ordini professionali, ecc) presenti sull’intero territorio nazionale, equamente distribuite nelle aree nord, centro, sud e isole.

Quanto emerge dal documento impone una doverosa riconsiderazione dei presidi organizzativi e procedurali in seno agli enti pubblici, che, come è noto, sono significativamente esposti ai rischi corruttivi, soprattutto in considerazione dell’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

È pertanto fondamentale trovare nuove soluzioni rispetto ai principali problemi evidenziati dall’indagine, individuati, principalmente, nel livello inadeguato di competenze e formazione di dirigenti e personale, e nella quasi totale assenza di strumenti operativi, anche e soprattutto informatizzati, per svolgere gli importanti adempimenti previsti dall’ordinamento a presidio di legalità, efficienza e buon andamento della pubblica amministrazione. In definitiva, pur in presenza di un elevato grado di sensibilizzazione sui temi della prevenzione della corruzione e della trasparenza, e non mancando certamente esempi virtuosi, molto rimane da pensare e da fare per garantire agli enti pubblici, di grandi, medio o piccole dimensioni, di soddisfare in maniera serena ed efficace gli standard anticorruzione.

Più nel dettaglio, si osserva che il documento ANAC registra un adeguato livello di sensibilità degli enti alle tematiche della corruzione e della trasparenza, registrando la corretta individuazione del RPCT (Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza) tra le figure dirigenziali, in linea con il dettato normativo e con le indicazioni fornite dall’Autorità. Il 90% degli enti medio grandi ha evidenziato l’efficacia del supporto fornito dai referenti. Soprattutto nelle grandi amministrazioni con sedi decentrate, come ad esempio i Ministeri, il ruolo del referente ha acquistato grande credibilità, permettendo agli RPCT di avvalersene con risultati soddisfacenti. In particolare, evidenzia il documento, l’attività svolta dai referenti è stata percepita come tanto più efficiente quanto più gli RCPT hanno attuato un’azione di predisposizione e diffusione di iniziative di informazione e formazione di tutto il personale, nonché un coinvolgimento e aggiornamento dei referenti in materia di anticorruzione, trasparenza e novità normative. La situazione cambia negli enti di medie dimensioni, dove – sebbene sia prevista la nomina di referenti – questi in concreto risultano poco coinvolti. Negli enti di ridotte dimensioni, poi, in alcuni casi è stata riferita la mancanza di iniziativa da parte dei referenti o uno scarso interesse verso la materia dell’anticorruzione. Inoltre, laddove si tratta di dirigenti apicali, è stata riscontrata una ridotta percezione delle attività più esposte al rischio corruttivo. Sono state tuttavia riscontrate buone prassi, come la previsione di una rendicontazione trimestrale a cura dei referenti sull’andamento delle attività e sul monitoraggio delle misure e l’intenzione di implementare il gruppo di diretta collaborazione del RPCT.

Anche le strutture di supporto risultano più concretamente fattive nelle grandi amministrazioni con sedi decentrate, sebbene sia stata manifestata la difficoltà di conciliare le attività già svolte con quelle che riguardano la materia di anticorruzione e trasparenza. Le strutture di supporto risultano istituite con difficoltà presso le amministrazioni di più ridotte dimensioni. Ciò dipende perlopiù dalla complessità di conciliare gli adempimenti in materia di anticorruzione con le attività ordinarie, in quanto le risorse non sono dedicate esclusivamente a coadiuvare il RPCT.

Per quanto riguarda, invece, l’analisi del contesto e la valutazione del rischio corruttivo, sono state riscontrate rilevanti criticità. Con riferimento alle grandi amministrazioni, l’analisi del contesto interno, benchè possa contare sulla collaborazione della struttura, nel 50% dei casi presenta forti difficoltà, fra cui la lentezza ad effettuare l’analisi a causa della vastità dei processi in atto e della non sempre chiara consapevolezza di tutti i processi gestiti e degli elementi che compongono la struttura interna della stessa organizzazione. Il 10% degli enti ha inoltre lamentato un non sufficiente coinvolgimento del personale coinvolto nell’analisi del contesto interno a causa del superficiale interesse per la materia da parte dello stesso; nel 20 % dei casi  è stato sottolineato che la carenza di personale nonché il rilevante carico di lavoro comporta una conseguente lentezza e necessità di rivedere più volte le risposte fornite, costringendo il RPCT a chiedere  ripetuti chiarimenti e a verificare le informazioni prima di giungere ad una corretta elaborazione della mappatura.

Sempre in ordine all’analisi del contesto interno, le difficoltà non vengono meno nelle amministrazioni di più ridotte dimensioni, in cui i processi, sebbene attuati, risultano difficilmente coordinabili dal RPCT. In particolare, è stato riscontrato che alcune articolazioni organizzative non hanno piena conoscenza di tutti i processi gestiti, delle loro fasi e delle specifiche attività previste, soprattutto nelle ipotesi in cui i processi sono svolti in outsourcing; non sempre gli uffici, anche a causa del rilevante carico di lavoro, danno risposte tempestive necessarie per l’elaborazione della mappatura; i soggetti delegati all’autoanalisi non risultano sempre dotati di competenze adeguate sui temi specifici dell’anticorruzione; talvolta la predisposizione della mappatura viene “strumentalizzata” per ragioni non conformi allo scopo.

Invece, l’analisi del contesto esterno non sono state rilevate particolari criticità, al di là delle difficoltà riscontrate dalle grandi amministrazioni decentrate (es. Ministeri), che, a causa dell’ampiezza della reta periferica (basti pensare che il Ministero esteri ha 302 sedi all’estero), hanno rilevato difficoltà nel reperimento dei dati. Positivi sono stati i riscontri per quanto concerne il coinvolgimento degli stakeholders. Nella maggior parte dei casi, si è fatto ricorso alla consultazione pubblica, in via preliminare o successiva, della strategia di prevenzione, mentre in altri casi più virtuosi c’è stato un coinvolgimento più diretto e preliminare all’adozione della strategia di prevenzione mediante riunioni, tavole rotonde e richieste specifiche a mezzo mail. L’analisi del contesto esterno non ha presentato grandi difficoltà negli enti di più ridotte dimensioni, che, però, hanno rilevato resistenze nel coinvolgimento degli stakeholders esterni mediante il ricorso alla consultazione pubblica, in via preliminare o successiva, della strategia di prevenzione.

Con specifico riferimento agli enti sanitari, sono state riscontrate difficoltà legate alla complessità dei processi e delle attività affidate agli enti, che richiedono aggiornamenti e approfondimenti continui, peraltro sviluppati anche con gli strumenti dell’analisi dei rischi correlata con la certificazione ISO.

Neppure i processi di valutazione del rischio godono di ottima salute: l’allineamento da parte degli enti esaminati non risulta ancora completato. Le ragioni di tale insuccesso sono principalmente legate alla scarsità delle risorse a disposizione, ciò tanto negli enti di più ridotte dimensioni quanto, finanche, nelle amministrazioni più grandi. È stata evidenziata principalmente la scarsa partecipazione dei responsabili di aree e la carenza di personale, che non risponde tempestivamente alle sollecitazioni. Inoltre, è stata segnalata la difficoltà nell’individuazione dei processi per alcune Direzioni/Servizi, in particolare per quanto riguarda i fattori di rischio e le misure di prevenzione adottate e programmate. In alcuni casi più gravi è stata lamentata l’impossibilità di mappare tutti i processi sempre a causa della carenza di personale. Solo 31 enti hanno rappresentato di utilizzare un sistema a carattere qualitativo, come raccomandato da ANAC, manifestando però la necessità di un consolidamento con i responsabili di processo.

Il documento inoltre rende note le segnalazioni raccolte in ordine alle criticità riscontrate nella programmazione e/o nella fase di attuazione delle misure generali di prevenzione, che si riportano di seguito.

Con riferimento alla misura preventiva della rotazione ordinaria e straordinaria del personale, le amministrazioni medio grandi hanno riscontrato le seguenti difficoltà:

  • il numero assai ridotto dei dipendenti in organico;
  • le resistenze di vario genere ai cambiamenti;
  • la difficoltà a mettere in atto tale misura per la specificità dell’ente (per le esigue dimensioni degli stessi e per la specificità di ambiti professionali). In alcuni casi sono state previste misure organizzative con effetti analoghi alla rotazione al fine di prevenire il consolidarsi di relazioni tra i dipendenti, prevalentemente tra quelli che effettuano attività di vigilanza e ispezione, e tra i soggetti destinatari dei relativi provvedimenti;
  • le specificità delle competenze e carenza di risorse alternative con pari competenze;
  • le peculiarità aziendali e specificità delle funzioni non consente di attuare la rotazione ordinaria a livello di Direttori di Unità Operative;
  • l’attivazione di tale misura è rimasta subordinata al completamento del processo di revisione dell’architettura organizzativa dell’amministrazione;
  • le difficoltà di programmare la rotazione in modo pluriennale. In assenza di specifica programmazione, l’ente si informa al principio di rotazione dei dirigenti e Posizioni Organizzative in linea con gli obiettivi di programmazione dell’Ente;
  • la difficoltà di attuare la rotazione quale normale misura organizzativa, ma solo a seguito di cessazioni o trasferimenti di personale.

Tale misura pone problemi applicativi anche negli enti di più ridotte dimensioni, atteso:

  • Il numero assai ridotto dei dipendenti in organico;
  • L’infungibilità delle competenze.

 

Rispetto al fenomeno del pantouflage (c.d. porte girevoli), nelle amministrazioni medio grandi è stata riscontrata la mancanza di controlli successivi alla dichiarazione rilasciata dall’ex dirigente e/o dall’impresa, mentre nei piccoli enti è stata lamentata la portata limitata dei poteri di verifica e controllo, ed è stato rappresentato che l’unica possibilità per il RPCT, non appena venga a conoscenza della violazione del divieto di pantouflage, sarebbe quella di effettuare una segnalazione all’ANAC e all’ente presso cui è stato assunto l’ex dipendente.

 

Con riferimento al tema dell’informatizzazione, nelle amministrazioni medio grandi è stata riscontrata:

  • la scarsa disponibilità di software adeguati;
  • la mancanza di profili idonei e limitata propensione del personale alla gestione informatizzata dei processi o costi eccessivi;
  • la digitalizzazione in corso e necessità di implementazioni da sviluppare sia dal punto di vista tecnologico che dal punto di vista della revisione organizzativa.

Allo stesso modo, nei piccoli enti sono state manifestate difficoltà legate principalmente alla presenza di costi difficilmente sostenibili per un piccolo ente e alla mancanza di profili idonei.

 

Con riferimento alla misura di monitoraggio dei tempi procedimentali, sia gli enti medio grandi che quelli più piccoli riscontrano:

  • assenza di sistemi di rilevazione automatica dei tempi di conclusione dei procedimenti nei software gestionali;
  • difficoltà nell’espletamento delle attività di monitoraggio per carenza di personale o assenza di formazione adeguata;
  • assenza di continuità.

 

Sul versante del conflitto d’interesse, invece, le amministrazioni medio grandi hanno riscontrato:

  • carenza di sensibilità;
  • conflitto di interessi nonostante l’attestazione del dirigente interessato di assenza di cause di conflitto di interessi rilasciata nella determinazione dirigenziale;
  • mancata astensione del RUP in un procedimento di gara e l’obbligo di astensione di un dirigente in una procedura concorsuale interna;
  • mancanza di verifica della dichiarazione di assenza conflitto di interessi.

Anche le amministrazioni di ridotte dimensioni hanno lamentato difficoltà sul piano della misura del conflitto d’interesse, rilevando in particolare l’esigenza di estendere la misura alle nomine interne – ad esempio RUP, direttore dei lavori, collaudatori, commissioni di gara – che comportino relazioni anche indirette con soggetti esterni.

Altro profilo è quello dell’autorizzazione di incarichi extra-istituzionali, che, rispetto alle amministrazioni medio grandi, presenta un certo grado di complessità normativa e disfunzioni organizzative connesse al processo di autorizzazione; mentre per gli enti piccoli pone principalmente difficoltà nella verifica della veridicità delle dichiarazioni.

In merito alla trasparenza, invece, tutti gli enti, indipendentemente dalle loro dimensioni, presentano difficoltà a garantire la tempestività e l’aggiornamento tempestivo dei dati, anche per la scarsa efficienza del sistema di tracciamento del flusso informativo. Le amministrazioni medio grandi hanno inoltre riportato le seguenti criticità:

  • eccessiva mole della documentazione da pubblicare;
  • poca formazione e scarsa gestione flussi informatizzati;
  • difficoltà nel far confluire il flusso dei dati dalla redazione dell’atto in amministrazione trasparente essendo richiesti i dati in formato tabellare.

In ambito universitario, poi, le misure di sensibilizzazione stentano a decollare, riscontrando la difficoltà a coinvolgere con incontri e seminari anche i non addetti ai lavori. Si ipotizzano pertanto interventi con supporti audio-video mirati sul contesto universitario per rendere la tematica più interessante soprattutto per la componente docente.

Infine, le piccole amministrazioni hanno lamentato criticità sul piano del whistleblowing, soprattutto in merito all’aggiornamento delle piattaforme e della garanzia di riservatezza dell’identità del segnalante.

Va meglio sul piano della diffusione e della conoscenza dei doveri di comportamento. Il documento riporta che il 90% degli enti di grandi dimensioni e il 78% di quelli di più ridotte dimensioni ha promosso la conoscenza dei doveri di comportamento dei dipendenti attraverso l’erogazione di una formazione ad hoc, la trasmissione del codice in occasione di nuove assunzioni o di contatti con operatori economici, la sua pubblicazione sul sito istituzionale dell’amministrazione nonché la sua affissione nei luoghi di lavoro.

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